Nell’ambito del Corso di perfezionamento del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Lecce, intitolato La Filosofia e le sue storie, si sono svolte alcune lezioni sul tema del Tradizionalismo di area culturale francese fra Rivoluzione e Restaurazione (di cui l’estratto della pubblicazione figura nel relativo elenco).
Anno 1997-98
Corso di laurea in Scienze politiche. Materia di insegnamento: Storia delle Dottrine politiche
Il corso si è basato sull’analisi della fase di transizione dall’Antico regime ai profondi cambiamenti culturali, ideologici ed istituzionali che si espressero nell’età delle rivoluzioni in America ed in Europa, per poi codificarsi in una nuova visione dell’ordine politico, dalle articolazioni del resto molto diversificate, ma tutte in una misura o nell’altra in antagonismo con le ancora forti pulsioni retrograde e reazionarie degli imperi continentali.
Seguendo un tale antagonismo fra modelli istituzionali se ne sono considerati i riflessi sul piano delle idee politiche, secondo contrapposte polarità culturali, ideologiche e programmatiche. Da un lato, si è illustrata la visione della società come insieme di una pluralità di ceti, di corpi titolari di specifiche funzioni politiche, in riferimento ad un ordine politico costituito dalla distinzione e dell’interazione dei singoli ruoli, e quindi incentrato sulla rappresentanza politica. Dall’altro lato, si è considerata la concezione della società come qualcosa di uniforme, di livellato, in funzione della centralizzazione del potere (nelle sue differenti ma omologhe configurazioni democratico-radicali, oppure monarchico-assolutistiche). In sostanza, sul piano delle dottrine politiche e dei programmi di azione, si sono riconsiderati per un verso (su di un versante, che definiremmo pluralista), i modelli del federalismo, della monarchia costituzionale, del costituzionalismo liberale; e per l’altro versante, si sono visti i sistemi monocratici, lungo l’inquietante linea dei totalitarismi di vecchia e nuova matrice. Testi adottati: Mario D’ADDIO, Storia delle Dottrine politiche. Genova, Ecig, 1997, vol. II; Paolo PASTORI, Settecento europeo e riforme. Fra tradizioni rappresentative e rivoluzioni. Firenze, Polistampa, 1996.
Nello stesso anno accademico, partecipando al Corso di perfezionamento (intitolato: Concezioni filosofiche della libertà) tenutosi presso il Dipartimento di filosofia dell’università degli Studi di Lecce) si sono tenute lezioni sul tema: La libertà fra origini, istituzioni e progresso. Il superamento del tradizionalismo in P. S. Ballanche (anche di questo l’estratto è indicato nell’elenco delle pubblicazioni).
Anno 1998-1999
Corso di laurea in Scienze politiche. Materia di insegnamento: Storia delle Dottrine politiche
Nel corso monografico si è voluta ricordare in positivo ed in negativo la ricorrenza del bicentenario della Rivoluzione napoletana del 1799. Lungo tale linea si sono cercati i motivi meno immediati e quindi meno studiati di questo momento particolarmente drammatico della transizione dall’Antico regime alla Restaurazione nel Mezzogiorno d’Italia. In simile prospettiva si sono dunque focalizzate alcune delle motivazioni che determinarono la lunga eclissi, quando non l’irreversibile scomparsa, di istanze e progettualità provenienti da ceti sociali già attivamente avviati a porsi come classe politica. Si è visto come incisero negativamente molteplici fattori. Da un lato, vi furono le contingenti polarità, le preconcette dicotomie interne alla società di questo come di ogni altro Stato pre-unitario italiano, e quindi spinte radicali contrapposte a reazionarismi di vario tipo. Dall’altro, si sono valutati gli oggettivi interessi nazionali delle maggiori Potenze, che videro nelle istanze italiane di libertà, di rappresentanza parlamentare e di indipendenza nazionale un pericolo per la loro egemonia politica o economica, e lo combatterono decisamente, talvolta dimenticando le promesse fatte durante il confronto contro la Francia rivoluzionaria e l’Impero napoleonico, le speranze innescate di un rinnovamento politico delle libertà e dell’indipendenza.
Anno 1999-2000
Programmi sostanzialmente invariati, per la preparazione dei testi di cui si è fatto cenno nella parte relativa alla ricerca scientifica.
Anno 2000-2001
Corso di laurea in Scienze politiche. Materia di insegnamento: Storia delle Dottrine politiche)
L’argomento del corso è stato lo sviluppo dell’idea politica dall’età classica all’inizio dell’età contemporanea. Pertanto, si sono considerati i principali momenti di tale processo: sia i più lontani antefatti della democrazia greca, della repubblica e dell’impero romano; sia il contrasto medievale fra l’Impero romano-germanico, il Papato ed i liberi comuni; sia l’avvento delle Signorie e delle monarchie assolute.
In questa linea di svolgimento (improntato alla continuità, pur nel discontinuo di involuzioni e cesure) trovano definizione, come una risultante di tale processo, le principali posizioni teoriche che nel Settecento precedono o si compiono nella Rivoluzione francese. Sotto questo profilo si è inteso evidenziare un preciso significato dei modelli di una possibile alternativa riformista in senso non assolutistico, seguita da quegli Stati che (nel corso del contrasto che li oppone all’Impero napoleonico) si strutturarono secondo un sistema parlamentare-rappresentativo.
Per la parte monografica, proseguendo le materie trattate negli anni precedenti, in questo corso si è preso a punto di riferimento iniziale il nesso che sussiste – nella svolta fra XVII-XIX secolo, dall’ antico regime all’ epoca rivoluzionaria – tra la situazione militare, la politica internazionale ed i loro riflessi sulle formulazioni ideologiche e sulla realizzazione dei diversi programmi a confronto. Testi adottati: Per la parte istituzionale: Mario D’ADDIO, Storia delle dottrine politiche, Genova, Ecig. 1997, voll. I-II. Per la parte monografica: Manlio PAGANELLA, Alle origini dell’Unità d’Italia. Il progetto politico-costituzionale di Melchiorre Gioia, Milano, Edizioni Ares, 1999; Vincenzo CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, Milano BUR, 1999.
Anno 2001-2002
In questo anno accademico si sono tenuti due distinti corsi per le 60 ore e per le 30, in seguito distinti come laurea quadriennale e diploma triennale.
Per la parte istituzionale si sono esaminati i principali momenti della storia del pensiero politico occidentale, dall’antichità classica all’epoca contemporanea, relativamente allo sviluppo che culmina nella genesi dello Stato moderno. La parte monografica ha invece avuto come tema quello delle molteplici anime del socialismo nel XIX secolo, secondo le diverse impostazioni date dal marxismo, dal socialismo neo-kantiano e dal cosiddetto ‘socialismo francese’, con particolare riguardo a Proudhon e Sorel.
Da qui particolare attenzione è stata data al problema della violenza in rapporto alla politica, quale risulta trattato nelle Réflexions sur la violence di Georges Sorel (1847-1822), nodo ideologico fra tutte le componenti del socialismo ottocentesco (sia utopistico, marxista, neo-kantiano), che in qualche misura hanno avuto dei riflessi anche sul totalitarismo sovietico e sul regime fascista.
Anno 2002-2003
Per la parte monografica, il presupposto di fondo è stato la riconsiderazione critica di un luogo comune storiografico (riflesso di un’ideologia dominante, perpetuatasi attraverso Unità, fascismo, post-fascismo) per cui si è in sostanza privilegiato il primato dello Stato centrale, sulle autonomie, sui regionalismi e federalismi. Di contro, nel corso monografico si sono ripercorse indagini recenti che hanno rivelato come il cosiddetto “triennio giacobino” (fra 1796-99) non avesse più niente delle iniziali rivendicazioni rivoluzionarie di libertà e di diritti universali, ma fosse in realtà l’espressione di una repubblica conquistatrice, dittatoriale, militarista, avviata a metamorfosarsi nel regime consolare di Napoleone e quindi nell’Impero. Pertanto, si sono visti in particolare quegli studi che hanno posto in luce il significato della lunga serie di insurrezioni popolari avvenute ovunque nella Penisola fossero giunte queste armate del Direttorio di Parigi.
D’altro canto, nel corso si è anche voluto porre in chiaro come anche in questa nuova storiografia (quantunque più attenta ed informata) persista una qualche difficoltà a valutare esattamente il significato di tali insorgenze, di cui appunto abbiamo considerato le testimonianze di una ferma volontà di resistenza. In questa, però, non appare dominante un immediato desiderio di ritorno sotto gli antichi sovrani, ma più spesso l’intenzione di un recupero di tradizioni di comunitarismo e persino di federalismo. E queste sono le istanze che erano state a lungo represse sin dall’imporsi dello Stato moderno nel XVI secolo, con la specifica configurazione autoritaria, assolutista, dispotica, livellante e centralizzatrice.
Riguardo ad un corso di Scienza politica, muovendo dal postulato che il campo di indagine della scienza politica sia l’analisi del fenomeno politico quale si è concretamente realizzato nel corso della storia (al di là, cioè, di teorie idealistiche) , nel corso si è dapprima seguita la linea interpretativa che (sulla base degli studi di Norberto Bobbio, Giovanni Sartori e Alessandro Passerin d’Entrèves) pone una netta contrapposizione fra questa disciplina, definita anche come “scienza empirica della politica”, e la filosofia politica. Si è pertanto inteso porre in evidenza agli studenti come proprio dalla filosofia politica vengano elaborati quei valori e quella progettualità politica che (al di là di utopismi idealistici) comunque non sono dati nell’esperienza e vi debbono appunto essere introdotti nel senso della creazione di un sistema di idealità, razionalità ed eticità.
Nel corso ci si è comunque proposti di sottolineare come una tale contrapposizione risulta oggi troppo radicale. Pertanto, si è mostrato come anche nell’ambito della scienza politica sembra ormai ineludibile il raffronto fra ideali, valori, ideologie, da un lato, e – dall’altro – l’oggettiva dimensione storica, l’effettiva esperienza politica.
Si è dunque posto in evidenza come idealità ed empiria non vadano considerate come due mondi contrapposti ed incomunicabili, ma come dimensioni da riconnettere, distinguendone le rispettive peculiarità ma anche le necessarie correlazioni ed interazioni. In questo senso, si è visto come già nello sviluppo della scienza politica, fra Otto-novecento, vi siano stati significativi tentativi di riconfrontare effettivamente empiria e spiritualità, pratica ed idealità, prassi ed ideologia.
Su queste basi, nel corso è stata quindi delineata – quantunque sommariamente, per linee generali – la storia di questo sviluppo della scienza politica. Dalla proposta di Ludwig Karl von Haller di restaurare in senso conservatore-reazionario la scienza politica (peraltro dopo la temperie di radicalismo razionalistico e dogmatismo moralistico della rivoluzione giacobina) si è poi considerata la scientificità dell’asserzione di Karl Marx di voler superare ogni alienazione idealistica in nome di una ritrovata sintesi fra idee e realtà, fra teoria e prassi, attraverso la rivoluzione proletaria.
In questa angolazione di ricerca, la seconda parte del corso ha riproposto a livello monografico alcuni tratti salienti della suddetta vicenda, per la quale la scienza politica del XIX secolo è partita dall’idealismo critico di Kant e dall’idealismo assoluto di Hegel per giungere in una prima fase all’empirismo di Herbart. Da qui, si è visto come in termini di scienza politica alcuni orientamenti teorici abbiano avuto ad oggetto l’analisi del primato della prassi scientifico-tecnologica teorizzato da Marx e dalla sua scuola, lungo una linea che poi è sfociata in due divergenti approdi critici, sia filosofici che politici.
Da un lato, quello della pretesa scientificità politica del marxismo (in Antonio Labriola) e dall’altro quello dell’individuazione (per opera di Georges Sorel) di un’etica sociale da realizzare con la rivoluzione, espressione di un’idea etica che si fa realtà storica, di una teoria politica che si fa prassi sociale ed economica.
L’organizzazione del Convegno internazionale di studi, per il trentennale dell’istituzione del Corso di laurea in Scienze politiche, dall’Istituto di Studi storico-giuridici della facoltà di Giurisprudenza di Camerino, sotto l’Alto patronato dell’Ambasciata di Francia in Italia, il 22-23 febbraio 1999. Da cui il saggio introduttivo (‘Revenons à Sorel come ‘züruck zu Kant’? Ipotesi sulla localizzazione del sostrato etico-politico nella critica soreliana alla società borghese) è ora negli atti del Convegno, sotto il titolo: Georges Sorel nella crisi del liberalismo europeo. Atti del convegno di Camerino. 22-23 febbraio 1999’. Camerino, Dipartimento di scienze giuridiche e politiche, 2001, pp. 37-137.
Nel 2000, ricerche per le seguenti relazioni. La prima, presentata nel Ciclo di seminari in occasione del trentennale del Corso di laurea in Scienze Politiche – Aula Emilio Betti – Palazzo Ducale, Camerino, 10-12 maggio 2000). La seconda, intitolata Progetti politici del “Viva Maria”, si tenne il 3 giugno 2000 al Convegno di studi “Digitus Dei est hic”. Il Viva Maria di Arezzo: aspetti religiosi, politici e militari (1799-1800). Arezzo, Aula Magna del seminario diocesano. 3 giugno 2000.
Nel 2001, nell’ambito dell’insegnamento di Scienza politica, chi scrive ha indagato sulle motivazioni della persistenza del ‘modello Socrate’ nel corso dell’intero Ottocento, quale punto di convergenza fra filosofia, etica e politica, ponendo in luce le ambiguità della pretesa scientificizzazione del sapere e dell’azione politica. Da qui i seguenti lavori, intitolati rispettivamente il saggio Su alcuni aspetti del nesso tra filosofia ed esperienza storica. La persistenza dell’archetipo Socrate nel XIX secolo, “Arché. Rivista di filosofia”, III (2000/2001), n. 3, pp. 71-147. In questo si è delineato un primo nucleo della ricerca poi sviluppata sino a localizzare nella figura di Socrate il fulcro del dibattito fra neo-hegeliani napoletani (in particolare Antonio Labriola, e – su di un altro versante – Georges Sorel e Benedetto Croce) sul significato del marxismo, rivisto in termini non più meccanicisti, quali erano invece stati postulati dal cosiddetto ‘materialismo storico’.
Riprendendo ed approfondendo la riflessione sul triennio ‘giacobino’ e l’impatto sulla cultura politica italiana, ha prodotto il saggio intitolato Influssi classici e referenti al costituzionalismo anglosassone nel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 di Vincenzo Cuoco. In questo lavoro si è considerato come nello stesso ambito del partito democratico napoletano (ispirato al modello repubblicano francese o quanto meno militante in quella stessa ideologia) vi fossero, da parte di alcune delle personalità di maggior spicco, una piena consapevolezza e la capacità intellettuale di raffrontare il tipo di costituzione della Francia direttoriale (la costituzione del 1795) alle esigenze nazionali. E specificatamente alle tradizioni di libertà e di rappresentanza politica presenti nel Regno meridionale anteriormente alla fase assolutistica.
Per questi teorici, filosofi e uomini politici napoletani si trattava dunque di cogliere l’occasione storica di quelle estreme propaggini della rivoluzione francese per riproporre in forme nuove queste antiche tradizioni rappresentative. Quantunque sotto diversa angolazione, tale è il proposito che accomuna quanti a Napoli si incaricarono di un simile adattamento. Fra questi certamente Francesco Mario Pagano, Vincenzo Russo e Vincenzo Cuoco sono coloro che più operarono una tale approfondita ricerca ed elaborarono una coerente progettualità costituzionale.
Ma a fronte di Russo (troppo radicale e “giacobino” nella sua idea comunistica) e dello stesso Pagano (che pure due efficaci organismi aggiunse al documento-modello francese, ossia l’Eforato e la Censura), invece Cuoco ebbe una posizione più mediata. La sua infatti fu una concezione improntata al riferimento sia ad una rivoluzione per la continuità (sia pure prendendo atto dell’esaurirsi della legittimazione dell’antico regime e della necessità di tale cesura), sia ad una nozione di ‘società civile’ da riarticolare in un complesso di ceti, organismi, funzioni, quali elementi e fattori distinti e complementari.
Su questa linea, la ricerca ha peraltro voluto porre in evidenza che il vero referente della concezione di questo Autore risulta essere il costituzionalismo britannico. In tal senso si sono proposti puntuali raffronti fra quanto, da un lato, osservò Cuoco in relazione alle modifiche apportate da Pagano alla costituzione francese; e, dall’altro, la teoria costituzionale che De L’Holme (ben prima della Rivoluzione francese) elaborò in riferimento al sistema inglese, come referente polemico contro le monarchie assolute del continente.
A questo documento dello scrittore svizzero (oltreché ai testi di Burke e di altri propagandisti) ha dedicata particolare attenzione, non ultimo perché ad esso si riferì tanta parte della pubblicistica contro-rivoluzionaria organizzata dal governo britannico. Si capisce pertanto come Cuoco (che militava fra le file francesi e che avrebbe speso il resto della vita a collaborare con i sovrani napoleonici) non potesse apertamente riferirsi a questa costituzione che pure gli era la più congeniale.
Una prova, dunque, di come le rivalità fra le Potenze fossero più spesso un conflitto fra diversi interessi delle nazioni o di gruppi oligarchici, piuttosto che un pregiudiziale rifiuto (da parte degli antichi o dei nuovi ceti dirigenti) sia del sistema parlamentare–rappresentativo che di un modello di ‘società civile’, di cui del resto c’era testimonianza attiva non solo nel contesto anglo-sassone.
Nel saggio intitolato Luigi Sturzo e Giacchino Ventura. La società civile fra sviluppo storico, retrogradazione e progettualità politica (testo della relazione tenuta l’8 ottobre al Seminario di studi su: Luigi Sturzo e la democrazia nella prospettiva del Terzo millennio. Erice, 7-11 ottobre 2000), si è posto ad oggetto della ricerca il forte, ancorché parziale, influsso delle teorie politico-sociologiche di Gioacchino Ventura di Raulica sul conterraneo sacerdote di Caltagirone, che in più luoghi ed occasioni accenna alle formulazioni dell’ex-generale dei Teatini.
Al di là di puntuali riscontri filologico-testuali da altri condotti sulla base di esplicite citazioni, in effetti la lettura delle principali opere di Sturzo (il trattato di Sociologia, composto in esilio e pubblicato nel 1935, dapprima in francese ed in inglese, e Chiesa e Stato, del 1959, di cui il trattato stesso è una sorta di introduzione) rivela una precisa attenzione per quelle parti del pensiero di Ventura concernenti sia la teoria sociologica che la concezione della società civile. Temi la cui stretta connessione non risulta affatto scontata in nessuno dei due autori. Dal canto suo, Sturzo riprende da Ventura la concezione processuale della società, interpretata come ordine che si realizza nel lungo decorso di tempo (pluri-generazionale ed anzi secolare).
In questa angolazione speculativa, si è potuto valutare quanto in Sturzo si riconosca una linea di pensiero che, proprio perché non è certamente più quella provvidenzialistica di un Bossuet, si incentra sulla considerazione della politica come scienza autonoma. Autonoma nel senso della considerazione della contestualità, nei moventi umani, di istanze di libertà e di volontà, di virtù e disponibilità al sacrificio, ed anche di inclinazioni all’abbandono alle passioni, all’irrazionalità e talora alla passiva accettazione del potere tirannico.
Pertanto si è visto come il problema della politica è per Sturzo, come già in Machiavelli, determinato dall’accertamento delle motivazioni concrete, dalla potenzialità di uguagliamento, dalla necessaria selettività di intenzioni e capacità partecipative (in senso politico, pubblicistico e non meramente privatistico o comunque esclusivista).
Si è nel contempo inteso dimostrare anche come, a differenza di Machiavelli, in Sturzo tuttavia questa visione realistica della politica si fonda eticamente nel riconoscimento del primato della motivazione etica e religiosa. In tale contesto, l’incontro con Ventura induce Sturzo a concepire il progresso della società come qualcosa di condizionato, che non può mai impunemente confondersi con idealistici automatismi o con ipotizzate razionalità immanenti nella storia. Tale progresso si configura in Sturzo come qualcosa continuamente da perfezionare e riproporre contro l’incombente caos delle passioni umane e degli eventi.
Si è anche posto in evidenza come la differenza rispetto al Ventura consista nel fatto che – mentre il Teatino (almeno nei primi scritti) può ancora aderire al convincimento di un Bonald o di un Constant della ancor possibile restaurazione dell’ordine tradizionale (sia pure in senso parlamentare-rappresentativo) – Sturzo ha invece di fronte a sé un conflitto che troppo a lungo si è configurato come irreparabile, ed inevitabilmente destinato a sfociare in una crisi irreversibile.
Sotto questo profilo si sono potuti cogliere in Sturzo elementi di analisi focalizzati sull’antagonismo che egli giustamente scorge nel secondo Risorgimento, nel seno stesso della ‘società civile’, a seguito delle polarità fra Chiesa e Stato per le vicende dell’unità italiana.
Quindi si è visto come per Sturzo la società civile non possa più concepirsi in termini di continuità di un modello che ormai è tramontato con l’auto-annientamento della restaurazione nella mera reazione, e quindi nel devastante centralismo post-unitario. Ora allo sguardo di Sturzo si presenta una società disaggregata, divisa, ben diversa dal sistema ordinato di una ‘società civile’ fondata sulla molteplicità e contestuale complessità di ruoli (cui potevano ancora guardare, nella Restaurazione, sia Constant che Ventura).
Per Sturzo, quindi, la ‘società civile’ è adesso qualcosa che deve essere rifondato integralmente, a partire dal ruolo di individualità concrete, eticamente motivate a realizzare questo progetto. Un progetto che, peraltro, una volta attuato, non dovrà essere nemmeno allora considerato come stabile e perfetto, ma qualcosa che dovrà sempre basarsi sull’insostituibile ruolo delle libere e consapevoli personalità (sia degli individui che dei gruppi e partiti) orientati a farsi protagonisti dell’azione politica, perennemente da alimentare, orientare, motivare nel senso suddetto.
Nel 2002 preparazione di una relazione sulla costituzione dell’Ordine di San Giuseppe, istituito nel 1796 dal granduca Ferdinando III di Asburgo Lorena, in vista della riaggregazione di un ceto dirigente dopo la crisi rivoluzionaria e l’inadeguatezza delle strutture assolutistiche relativamente alla ‘società civile’. La ricerca è stata finalizzata alla partecipazione alla Conferenza [tenutasi il 19 marzo 2002, presso l’Accademia Toscana di Scienze e Lettere ‘La Colombaria’, alla presenza di S.A.I. il principe Sigismondo d’Asburgo Lorena] sul tema: Ordini cavallereschi e Stato tra sette e Ottocento in Toscana, relatori: P.R. Coppini, A. Volpi, P. Pastori. [testo inedito]
Nel 2003, al termine di un periodo di ricerche sulle tematiche della transizione fra rivoluzione e restaurazione al volgere del XVIII-XIX secolo, chi scrive ha potuto pubblicare nel 2003 il saggio Frammenti di un altro 1799, nel quale l’analisi delle vicende politiche ed istituzionali del triennio 1796-99 si è conclusa con la riconsiderazione delle persistente oscurità di contrapposte prospettive storiografiche che dal ‘post-risorgimento’ a questo secondo ‘dopo-guerra’ hanno fornito i supporti argomentativi a polarità ideologiche altamente problematiche, nel senso di schematismi e dicotomie fra reazione e progresso, tradizione e rivoluzione.
Nozioni peraltro di primario interesse se criticamente intese, e suscettibili di essere ricondotte opportunamente al loro vero significato e valore. L’occasione del bicentenario del 1799 ha determinato infatti una pletora di pubblicazioni, in cui peraltro si tende troppe volte a confondere in due unici campi avversi quelli che invece furono molteplici personalità, programmi, idee e valori.
Partendo invece da un presupposto critico si è invece potuta evidenziare sia nel campo cosiddetto ‘reazionario’ che in quello cosiddetto ‘democratico’ un’insospettata comunità di temi e di istanze.
Per un verso, si comprende adesso che il referente dei tradizionalisti fra fine Settecento-inizio Ottocento non esaurisce tutta quanta la progettualità di chi si trovò ad opporsi ad un radicalismo democratico che non lasciava molti spazi a mediazioni e reciproci riconoscimenti. E fra quanti opposero una fiera resistenza al radicalismo innovativo c’erano non solo i conservatori-tradizionalisti, legati ad un passato inerte e senza prospettive, ma anche i più consapevoli difensori della tradizione, i quali non si riconoscevano più nell’assolutismo, né in un antico regime affetto da chiusure e prevenzioni insopportabili per tanta parte del clero, della nobiltà e della borghesia.
Per altro verso, diventa ora palese che fra coloro che non senza motivo opposero una rivoluzione a queste chiusure non c’erano solo gli artefici o gli incauti ausiliari di un complotto contro l’ordine civile, ma anche quanti videro il mero formalismo dell’antico regime assolutistico ed intesero riaffermare idee di giustizia, di partecipazione e di rappresentanza degli interessi e della volontà di tutta la nazione.
Del resto, proprio l’insorgenza – come recentemente dimostra una serie di articoli saggiamente ospitati su “Studi storici” dell’Istituto Gramsci – ci rivela come, in molti casi, e specialmente in Toscana, coloro che combatterono le armate ed i commissari del Direttorio francese intesero certamente opporsi al duro regime di spoliazioni e di esazioni, ma non ultimo anche perché nella decisione di quegli occupanti di lasciare gli stessi funzionari lorenesi ai vertici dell’amministrazione riconobbero una inquietante continuità, un’affinità di avversione (sia pre-assolutistica che, ora democratico-radicale) per la società di corpi tradizionale.
Nondimeno, al di là dell’immediata polemica contro la suddetta storiografia ideologicamente orientata, un approfondito sviluppo di queste ricerche è stato condotto sempre sul tema delle insorgenze, ora indagando direttamente sul materiale documentario presente nei seguenti Istituti.
In primo luogo, presso l’Archivio di Stato di Firenze, dove gran parte della documentazione ufficiale dell’insorgenza aretina venne trasferita subito dopo la restaurazione del governo granducale.
In secondo luogo, presso l’Archivio di Stato di Arezzo, presso il quale, per quanto in attesa di un sistematico riordino, si trovano tutte le carte del marchese Albergotti, capo carismatico e comandante della Deputazione militare di quel Governo provvisorio.
In terzo luogo, presso la Biblioteca comunale della stessa città di Arezzo, che conserva una parte della documentazione relativa ai manifesti, bandi e pubblicazioni del periodo.
Il risultato di tali ricerche ha permesso di approfondire quanto accennato in Frammenti di un altro 1799, nel senso di evidenziare con una piena testimonianza documentaria che l’insorgenza diede luogo ad un rapporto di tipo ‘instaurativo’ da parte della Suprema Deputazione del Governo provvisorio di Arezzo, che strinse accordi di carattere federativo con le singole comunità liberate dai francesi e loro partitati.
Infatti, nelle comunità liberate veniva immediatamente eletto un Governo provvisorio locale e stabilito un collegamento con Arezzo, sia tramite un rappresentante presente in quella città, sia attraverso inviati da questa. Qui andava dunque ricercata la prova di come gli insorgenti non intendessero affatto restaurare semplicemente il sistema assolutistico lorenese. In effetti, gli insorgenti attribuivano al governo granducale la responsabilità sia di avere soppresso ogni forma di rappresentanza politica delle comunità e dei ceti sociali (antichi e nuovi), sia di aver imposto una politica ecclesiastica distruttrice delle antiche tradizioni e di riti cari alle popolazioni.
In questa linea, la ricerca ha potuto dimostrare come alla mai sopita insofferenza per queste misure, si aggiungevano adesso i motivi di resistenza ai francesi, che con la loro politica di spoliazioni e requisizioni, sembravano voler perfezionare in termini apparentemente nuovi l’antica ostilità assolutistica per la società di corpi tradizionale. Ora proprio questo tipo di ricerca ha potuto mettere in chiaro come, in un campo come nell’altro, si pretese di etichettare come “giacobinismo” la prosecuzione di tale politica, mentre questa ideologia era già da tempo sepolta, per lasciare il posto al più aperto nazionalismo da parte di quella altrettanto apparente democrazia della repubblica direttoriale ormai avviata verso l’avventura e l’epopea napoleonica.
L’esito di queste ricerche è stato la pubblicazione, alla fine del 2003, della raccolta di documenti d’archivio intitolato Istanze comunitative e federazione nell’insorgenza toscana nel 1799, nella collana del Dipartimento di Scienze giuridiche e politiche dell’Università di Camerino.
Un terzo nucleo di ricerche è stato condotto per alcune occasioni di incontro presso varie istituzioni, come qui di seguito si precisa:
- Ricerche sulla presenza di oggettivi aspetti socio-economici e politico-istituzionali della nozione di ‘società civile’ nel Regno delle due Sicilie fra antico regime e terza restaurazione borbonica. La ricerca è stata finalizzata per la relazione Società civile e Stato, all’ XI Convegno tradizionalista della Fedelissima città di Gaeta, intitolato L’età della restaurazione e Ferdinando II di Borbone, tenutosi a Gaeta il 15-16 febbraio 2003.
- Relazione introduttiva per l’incontro sul tema: Quale destra?, tenutosi nell’Aula magna della Facoltà di Giurisprudenza di Camerino il 21 maggio 2003.
- Relazione introduttiva, intitolata Rivoluzione francese ed insorgenze popolari in Italia fra storiografia e ideologia, all’incontro sul tema Rivoluzione francese e insorgenze, tenutosi nell’Aula magna della Facoltà di Giurisprudenza di Camerino il 18 giugno 2003.
- Relazione, intitolata L’idea di élite in Tanucci fra continuità ed innovazione, per la Tavola rotonda sul tema: Politica e riforme nel pensiero e nell’opera di Bernardo Tanucci, tenutasi a Pisa, il 20-21 giugno 2003, nell’Aula Magna della Facoltà di Scienze politiche.
- Ricerche per l’intervento, intitolato La diffusione del pensiero di padre Gioacchino Ventura nell’Italia della Restaurazione, al Convegno di Studio, tenutosi a Milano il 3-4 ottobre 2003, nella sala delle Colonne del Museo della Fabbrica del Duomo, sul tema: Il cattolicesimo lombardo tra Rivoluzione francese, Impero e Unità. Poi, pubblicato nel 2006, per cui vedasi nelle pubblicazioni di quell’anno.
- Ricerche per la relazione, intitolata Un persistente silenzio storiografico, per l’incontro organizzato per il 15 novembre 2003 dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Arezzo, sul tema Il Viva Maria del 1799: fanatismo reazionario o progetto politico alternativo?
Fra 2003-2010 l’attività di ricerca si è concentrata soprattutto nella prospettiva dell’opera in tre volumi (di cui il terzo in preparazione), intitolata: Alla ricerca di un ordine nuovo Napoli e Palermo fra antico regime, rivoluzione e restaurazione (1759-1821). Si tratta di un’ampia rassegna che prendendo le mosse (nel primo tomo) dalle trasformazioni politiche, sociali ed istituzionali dell’intero Occidente nel periodo in questione, poi (nel secondo e terzo tomo) ne sviluppa le suggestioni ed i condizionamenti nel Meridione d’Italia, che del resto – sino a questa transizione storica – alla fine si rivela come uno dei centri dei complessivi avvenimenti che trasformarono la politica europea, mediterranea e centro-sud americana.
Contrariamente ad interpretazioni storiografiche ideologicamente sin qui dominanti (sia quelle acriticamente nostalgiche del passato borbonico, e comunque pre-unitario, sia quelle altrettanto acriticamente evocatrici di un’Unità e di un Risorgimento italiano incentrati solo sul Piemonte, i Savoia e Garibaldi, ossia fra 1848-1870), la nostra ricerca ha inteso mettere in luce che il primo e più articolatamente complesso Risorgimento nazionale si venne sviluppando fra 1799-1820 sull’asse che – allora – univa Napoli e Palermo a Parigi ed a Londra.
Su questa asse vissero ed operarono più generazioni di meridionali dalle spiccate qualità intellettuali e politiche (da Pagano, Russo, Cuoco, a Delfico, Galdi, Zurlo, ed infiniti altri di cui diamo conto nel contesto dell’opera). Tutta questa loro attività e progettualità (ora riformistica, ora rivoluzionaria) non è stata sufficientemente riconosciuta come l’antefatto ben altrimenti imprescindibile di quell’unità italiana che ha preso definitivamente corpo nella nostra attuale Costituzione repubblicana. Diciamo che una certa retorica sull’Unità sabaudo-piemontese-garibaldina ha operato come un nascondimento di questi antefatti, nel senso che – fra l’altro – la complessa struttura cetuale ed inter-funzionale del 1799-1820 non ha trovato che una tardiva e parziale accoglienza non già nel 1848-1870, ma – e solo in parte – nel secondo Dopoguerra, con una frammentarietà di posizioni che sarebbe ancor oggi oggetto utili analisi e di progetti di risoluzione.